Straordinario
libro di Sartre, uscito in Francia nel 1939 e in Italia nel 1947, Il muro si compone di cinque racconti,
cinque “piccole disfatte” nei confronti dell’esistenza, come li definì
l’autore,
Dopo
il diario filosofico di Antoine Roquentin , protagonista solitario de La nausea, afflitto dalla gratuità
incomprensibile dell’esserci e da un profondo senso di non appartenenza, Sartre
ci presenta con neutralità fenomenologica e con una cifra stilistica
inconfondibile, contrassegnata dalla nudità della parola ma anche dalla sua
improvvisa vertigine, cinque personaggi senza scampo, condannati allo scandalo dell’esistenza.
L’analisi
feroce di Sartre scava all’interno dei protagonisti, rivelando le paure, le
contraddizioni, gli artifici, le menzogne, i deliri che si nascondono in loro
stessi, senza psicologismi, ma con una scrittura secca, essenziale, capace di
penetrare l’abisso della natura umana esposta al rischio dell’ex-sistere. Tutto
è possibile in questa visione radicale di Sartre, in quanto non c’è
giustificazione dell’esistenza, non c’è alcun fondamento e numerose possono
essere le risposte umane all’insensatezza, come casi clinici destinati a
riempire il loro nulla. Ne sono un esempio i due racconti più riusciti della
raccolta: La camera ed Erostrato.
Nel
primo Sartre descrive con notevole efficacia e con rara intensità poetica la
follia schizoide di Pietro, che a poco a poco contagia la moglie Eva, la quale
a sua volta vorrebbe segretamente diventare come lui per allontanarsi
definitivamente dal mondo e dalla vita reale rappresentata dalla “normalità”
degli anziani genitori. Follia presente anche in Erostrato, straordinario racconto in cui il protagonista è un
personaggio che disprezza gli uomini, che cerca di esistere alimentando l’odio
nei confronti degli altri da cui è disgustato e che vede sicuri e arroganti
nella loro continua recita sociale. Un personaggio al limite del mondo, che non
capisce se stesso e la vita, che non ama nessuno e vuole distinguersi dal resto
dell’umanità verso cui prova orrore, ansioso di compiere un gesto estremo
contro tutti per essere finalmente qualcuno, ma che poi sviene davanti al
sangue e non riconosce più le proprie azioni. (E cogliamo qui l’occasione per
citare l’eccezionale riduzione teatrale in forma di breve monologo che di
questo brano fecero Giorgio Gaber e Sandro Luporini all’interno dello
spettacolo Anni affollati della
stagione 1981/1982 con il titolo L’anarchico).
Sono
spesso situazioni estreme quelle che Sartre ci presenta con questi racconti,
esperienze che rivelano la miseria umana, l’incerto confine tra verità e
menzogna, normalità e follia, oppure il conflitto tra ideologia ed esistenza.
Storie che intendono mettere a nudo, spogliare l’uomo dalle maschere che si
costruisce, fino ad arrivare al vuoto della presenza, quella libertà che
confonde e sconvolge e che ci fa sentire di troppo, che ci chiama ad inventare
un destino. Ecco allora la storia di Pablo, protagonista del racconto che dà il
titolo al volume, un giovane condannato durante la Guerra di Spagna, che
aspetta l’alba per essere fucilato insieme a due suoi compagni e durante
l’attesa pensa alla morte che “disincanta ogni cosa” e rende tutto incompiuto ed incomprensibile. C’è poi la Lulù di Intimità,
che mente a se stessa ed è incapace di cambiare la propria esistenza,
rassegnata ad una vita senza soddisfazioni, prigioniera delle proprie abitudini
e delle proprie finzioni. Infine Lucien, protagonista dell’ultimo racconto, Infanzia di un capo (quasi un romanzo
breve), che sceglie di non scegliere,
di conformarsi a ciò cui è destinato secondo la classe sociale di appartenenza,
la borghesia industriale reazionaria e antisemita, nascondendo ipocritamente in
essa le ombre inquietanti della propria personalità.
La
disfatta incontra il muro dell’esistenza e non risparmia nessuno dei personaggi
di questo bellissimo libro che – occorre ricordare – fece scandalo: venne messo
all’Indice da parte della Santa Sede (come tutta la produzione di Sartre), subì
l’accusa di pornografia in alcuni paesi e in Italia l’editore Einaudi (che
vedeva tra i suoi collaboratori Pavese, Vittorini, Natalia Ginzburg e il
giovane Calvino) subì un processo da cui per fortuna uscì assolto.
Mauro Germani
da
Margini della parola. Note di lettura su
autori classici e contemporanei, La Vita Felice, 2014