Folletto. Voi gli aspettate invan: son tutti morti, diceva la chiusa di una tragedia dove morivano tutti i personaggi.
Gnomo. Che vuoi tu inferire?
Folletto. Voglio inferire che gli uomini son tutti morti, e la razza è perduta.
Gnomo. Oh
cotesto è caso da gazzette. Ma pure fin qui non s’è veduto che ne ragionino.
Folletto.
Sciocco, non pensi che, morti gli uomini, non si stampano più gazzette?
Gnomo.
Tu dici il vero. Or come faremo a saper le nuove del mondo?
Folletto.
Che nuove? che il sole si è levato o coricato, che fa caldo o freddo, che qua e
là è piovuto o nevicato o ha tirato vento? Perché, mancati gli uomini, la
fortuna si ha cavato la benda, e messosi gli occhiali e appiccato la ruota a un
arpione, se ne sta colle braccia in croce a sedere, guardando le cose del mondo
senza più mettervi le mani; non si trova più regni né imperi che vadano
gonfiando e scoppiando come le bolle, perché sono tutti sfumati; non si fanno
guerre, e tutti gli anni si assomigliano l’uno all’altro come uovo a uovo.
Gnomo,
Né anche si potrà sapere a quanti siamo del mese, perché non si stamperanno più
lunari.
Folletto.
Non sarà gran male, che la luna per questo non fallirà la strada.
Gnomo.
E i giorni della settimana non avranno più nome.
Folletto.
Che, hai paura che se tu non li chiami per nome, che non vengano? o forse ti
pensi, poiché sono passati, di farli tornare indietro se tu li chiami?
Gnomo.
E non si potrà tenere il conto degli anni.
Folletto.
Così ci spacceremo per giovani anche dopo il tempo; e non misurando l’età
passata, ce ne daremo meno affanno, e quando saremo vecchissimi non istaremo
aspettando la morte di giorno in giorno.
Gnomo.
Ma come sono andati a mancare quei monelli?
Folletto.
Parte guerreggiando tra loro, parte navigando, parte mangiandosi l’un l’altro,
parte ammazzandosi non pochi di propria mano, parte infracidando nell’ozio,
parte stillandosi il cervello sui libri, parte gozzovigliando, e disordinando
in mille cose; in fine studiando tutte le vie di far contro la propria natura e
di capitar male.
Giacomo
Leopardi, Dialogo di un folletto e di uno
gnomo, in Operette morali.