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nel 1932, Voyage au bout de la nuit, primo romanzo di Louis-Ferdinand
Céline, è indubbiamente uno dei maggiori libri del Novecento.
Il
protagonista Ferdinand Bardamu si muove all’interno di una realtà che si dà a
frammenti, spesso crudeli e violenti, qualcosa che sembra avere smarrito da
sempre il proprio senso, la propria giustificazione. Sono lampi di gratuità
nella notte, destini solitari e dannazioni ai margini dell’abisso, gesti,
parole, incontri, illusioni, addii, inizialmente dentro la prima guerra
mondiale, poi nella deriva dell’Africa coloniale, nel capitalismo già feroce e
alienante dell’America del primo dopoguerra e infine nei sobborghi di una
Francia “malata” e povera.
Ferdinand
passa da un evento all’altro, da un incontro all’altro senza capire, sempre in
fuga da se stesso e dagli altri, vero e proprio antieroe, lacerato dalla paura
di vivere, ossessionato come Céline dalla fisicità dell’esistenza, dalla materia
organica, dalla carne degli uomini e del mondo. E la scrittura stessa,
volutamente bassa e “sporca” ma mai casuale (Céline lavorava sulla parola come
pochi) pulsa sulla pagina, diviene anch’essa materia vivente, anzi materia
nella materia, penetra gli anfratti dei luoghi, ne assorbe gli odori e ne
ricerca le ombre, entra nelle viscere della gente, svelandone le bassezze, le
ipocrisie, le illusioni, gli egoismi senza rimedio.
Tutti
i personaggi del romanzo sono corpi gettati dentro il corpo buio e disgregato
della realtà, inghiottiti nel suo ventre oscuro, precipitati nella vita che li
stordisce e li costringe a difendere con più o meno tenacia i propri sogni e le
proprie miserie.
Nessuno
di loro si salva, nessuno può essere salvato in questo gioco sporco e beffardo,
in questo continuo ricatto a cui li sottopone il destino. Ognuno è solo e
l’amicizia e l’amore non fanno che denunciare la loro pochezza o addirittura la
loro impossibilità (“L’amore è l’infinito messo alla portata dei
cani”), la solitudine disperata dell’uomo.
Ecco
allora il rapporto del protagonista con
Molly, dolce e gentile prostituta americana (e a ben vedere forse l’unico
personaggio davvero positivo del libro) e con Leone Robinson, sventurato
compagno di fughe, una sorta di alter ego
di Ferdinand, destinato ad una morte violenta in uno dei momenti più intensi
del romanzo. Perché, in fondo, è proprio la morte che incombe su tutta la
storia, come un incubo da cui si cerca di scappare o a cui si corre
involontariamente incontro.
(da
Mauro Germani, Margini della parola. Note
di lettura su autori classici e contemporanei, La Vita Felice 2014)
***
La guerra insomma era tutto
quello che non si capiva.
Tutto ciò ch’è interessante succede nell’ombra, certamente. Non si sa nulla della vera storia degli uomini.
Ve lo dico, o buona gente,
imbecilli della vita, battuti, sfruttati, vi avverto, quando i grandi di questo
mondo si mettono ad amarvi, gli è che vogliono trasformarvi in salami da
battaglia…
Nei riguardi di una ragazza del
luogo, Molly, provai presto un eccezionale sentimento di confidenza che, negli
esseri umani, tiene il posto dell’amore.
Ritornavamo verso la folla e io
poi la lasciavo dinanzi a casa sua, perché di notte lei era occupata con la sua
clientela sino al mattino. Mentre lei era con i clienti, sentivo un senso di
pena, e quella pena mi parlava di lei così bene che la sentivo meglio ancora
che nella realtà.
Lo spirito s’accontenta con
delle frasi, il corpo non è così, è più difficile lui, gli occorrono dei
muscoli. E’ qualcosa di sempre vero un corpo, è per questo che l’è quasi sempre
triste e disgustoso da vedere.
Non c’è da farsi illusioni, le
persone non hanno nulla da dirsi, si parlano soltanto delle loro pene, ognuno
le sue, inteso. Ognuno per sé, la terra per tutti. Cercano di scaricarsi della
loro pena, l’uno sull’altro, nel momento dell’amore, ma non ci si riesce, e
hanno un bel da fare, la conservano tutta intera la loro pena, e ricominciano e
cercano ancora una volta di collocarla altrove.
Di terribile in noi e sulla
terra e in cielo forse c’è soltanto quello che ancora non è stato detto. Non si
sarà tranquilli se non quando tutto sarà stato detto, una volta per sempre,
allora finalmente si farà silenzio e non si avrà paura di star zitti. Sarà
così.
Ondate incessanti di esseri
inutili vengono dal fondo delle età a morire continuamente dinanzi a noi,
eppure si rimane là a sperare tante cose… Incapaci di pensare a quella morte
che noi stessi si è.
Questo nostro corpo, travestito
con molecole agitate e banali, si rivolta continuamente contro questo scherzo
atroce del durare. Vogliono andarsi a perdere le nostre molecole, al più
presto, nell’universo quelle vezzose! Soffrono d’essere solamente “noi”,
cornuti dell’infinito. Si scoppierebbe se s’avesse del coraggio, invece ci si
disgrega solo da un giorno all’altro. La nostra tortura preferita è rinchiusa
lì, atomica, nella nostra pelle stessa, col nostro orgoglio.
E’ questa la vita, un po’ di
luce che finisce nella notte.
Ci si poteva ancora domandare
quel che avrebbe fatto per finirla. Il ventre gli si gonfiava. Ci guardava
Leone, già fissamente, gemeva, ma non troppo. Era come una specie di calma.
L’avevo già visto molto malato, io, e in punti differenti, ma questa volta era
una cosa in cui tutto era nuovo, i sospiri, gli occhi e tutto. Non si poteva
più trattenerlo, e se ne andava di minuto in minuto. Sudava gocce così grosse che pareva piangesse con tutta la
faccia. In quei momenti, è seccante essere diventati poveri e duri come si è.
Si manca di quasi tutto quel che occorre per aiutare qualcuno a morire.
Lontano, un rimorchiatore ha
fischiato; il suo appello ha passato il ponte, ancora un’arcata, un’altra, la
chiusa, un altro ponte, lontano, più lontano… Chiamava a sé tutti i barconi del
fiume, e la città intera, e il cielo e le campagne, e noi e tutto trascinava,
anche la Senna, tutto, e che non se ne parli più.
da Viaggio al termine della notte - Traduzione di Alex
Alexis (Luigi Alessi)