Mauro Germani, Margini della parola, note di lettura su autori classici e contemporanei, La Vita Felice, Milano, 2014.
Margine, margo, orlo, bordo, sponda, confine.
Spazio di appostamenti insidiosi. Luogo d’arrivo ma anche di partenze. Area
delle apparizioni e della sparizione. Sede incerta, precaria, rischiosa, no man land. A questo territorio
appartengono sia il tipo di scrittori sia il tipo di lettura prediletti da
Mauro Germani nella veste di critico, in questo caso, in altri volumi nella
veste di autore di prose e di poesie.
Questo volume
non è un elenco eterogeneo o un’accozzaglia di interventi dispersi, raccolti e
messi in fila.
Solitudine,
inappartenenza, assenze, ma anche epifanie del vuoto, vertigini dell’abisso, le
forze oscure di un’origine ritrovata e smarrita, la parola indifesa ai bordi
dell’inesprimibile, l’esitazione prima di un gesto, i silenzi tra una parola e
l’altra, le zone d’ombra in cui la vita si accosta alla morte e la morte
s’insinua e si confonde con la vita, il visibile con l’invisibile: questo
esercizio dei margini cari a Germani,
tra Heidegger e Jabès, innesca e coordina una selezione cogente, canonica e
non, di autori e opere. Come nota Sebastiano Aglieco nella Postfazione, li fa risuonare
tra di loro.
Lo scandalo
visionario e la scissione schizofrenica tra senso
e immagini nei Canti di Maldoror di
Lautréamont, gli scenari di una desolazione post-apocalittica di Beckett (Finale di partita), il nichilismo
spettrale di Benn, la nudità vertiginosa della parola di Sartre, la frase
incessante e lacerata di Thomas Bernhard, le parole che interrogano altre
parole, tra silenzi, luoghi chiusi, gesti sospesi, di Blanchot,
l’essere-nel-mondo estraniato e traslucido del Mersault ne Lo straniero di Camus, le narrazioni della catastrofe di Céline,
l’estraneazione interminabile di Kafka, lo sradicamento dolce e lancinante di
Trakl, i ghirigori di cenere di Celan, le circolarità spettrali e labirintiche
di Cattafi, le cronache del mistero
di Buzzati, il solipsismo radicale di Morselli, dove il suicida è vivo e i vivi
sono i morti (Dissipatio H. G.), la
coscienza sveviana dell’inettitudine a vivere in Tozzi, gli ossimori, le
ellisi, le paronomasie degli appostamenti al nulla di Caproni… sono solo
alcuni paradigmi. Questo e altro ci riserba Germani.
Questi e altri che non intendono radere al
suolo una panoramica del ‘900 né erigono muri inviolabili o compartimenti stagni.
Semmai perlustrano territori di cui svolgono gli orizzonti inauditi e
rintracciano gallerie scavate da parole inconfondibili, per le generazioni di
lettori e di scrittori che si succedono, lungo una linea (certo non l’unica)
frastagliata, ma non gratuita, che si attesta tra espressionismo, surrealismo,
esistenzialismo, in modo libero e indipendente, transitando da retrovie
recondite a casematte e avamposti isolati. Qui, in questi incroci sotterranei o
su queste cime impervie, entrano in gioco una quinta e una sesta generazione di
autori noti, poco noti o quasi del tutto sconosciuti, a cui un dispiegamento
del secolo appena trascorso riserva finalmente lo spazio che meritano. Non
faccio altri nomi. Ai lettori affido il diritto e il piacere di conoscerli o di
ritrovarli.
Germani mescola
le voci primonovecentesche, nonché tardo-ottocentesche (si parla anche di
Pascoli e di Melville), con le voci di alcuni contemporanei viventi e
scriventi. Non le giustappone né le collega forzosamente, piegandole a un’ideologia
o a una poetica. Le descrive e le propone con rispetto e semplicità. Piuttosto
le intride ai paesaggi marginalistici
a lui cari. È un’indagine condotta con lo sguardo limpido di un sermo brevis, vibrante e incisivo, che
riesce a informare, cogliendo i nessi e gli snodi essenziali e a suscitare la
curiosità e lo stupore necessari per ascoltare, capire e interpretare una gamma
speciale di autori e di opere.
Rinaldo Caddeo