Mario Marchisio, La
morte attiva, Edizioni Aurora Boreale 2018
La morte attiva
raccoglie le poesie, i racconti ed i pensieri che Mario Marchisio ha scritto
nell’arco di un quarantennio. È quindi un’occasione per rileggere un’opera
multiforme e particolarmente interessante non solo per le tematiche
(esistenziali, filosofiche, teologiche) che affronta, ma anche per lo stile
sempre nitido e classico, che rivela
la straordinaria capacità dell’autore di spaziare senza forzature dalle forme
metriche al verso libero, dalla narrazione drammatica, visionaria, grottesca o
satirica alla brevità fulminante dell’aforisma.
Ciò
che colpisce subito è proprio il rapporto tra la limpidezza della scrittura ed
il suo abisso, nel quale tenebre e luce si scontrano incessantemente in una
lotta che ha come posta in gioco il destino dell’uomo. La vastità dell’opera di
Marchisio (il volume sopracitato consta di quasi cinquecento pagine) non elude
mai, pur nella varietà dei generi e dei registri adottati, il tema di fondo dell’uomo conteso, che – cosciente o meno – è
alle prese con la propria anima, attanagliata dal buio e sempre in bilico sul
baratro della perdizione.
Marchisio
è soprattutto un indagatore del male:
ne sonda le terribili profondità, ne descrive gli inganni, le astuzie, le menzogne,
i paradossi, consapevole che in questo mondo non c’è pace, perché la condizione
umana è contaminata ab origine e la
salvezza non è facile conquista. Certi
suoi racconti non sfigurerebbero insieme alle Storie sgradevoli di Leon Bloy, autore che – come scrisse Borges –
“opinò qualche volta che siamo già all’inferno”. Del resto, non è proprio la
Sacra Scrittura a decretare che Satana è il principe di questo mondo e che la
vittoria sul male avverrà solo alla fine dei tempi?
In
ambito narrativo, Marchisio costruisce storie, in questo senso, esemplari,
nelle quali il male è sempre in agguato, sempre attivo, ed agisce con la sua opera devastante, spesso dietro una
normalità o rispettabilità apparenti, come
se nulla fosse. Le storie, quindi, smascherano ciò che in profondità è
terribile e nascosto e l’autore illumina
le tenebre, rendendole così evidenti al lettore.
Marchisio
predilige la narrazione breve, tuttavia alcuni dei dodici racconti presenti nel
volume, nella sezione intitolata Carni
scosse, sono collegati tra loro dal nome di uno o più personaggi, a
dimostrazione di una genealogia del male
a cui è difficile sfuggire. Si vedano, a tal proposito, i racconti Condiscendenza, Ascanio e Trofei, nei
quali segreti terribili, mostruosità e macchinazioni diaboliche si intrecciano
quasi naturalmente, in un susseguirsi ineluttabile di atrocità. C’è poi il
teatrino macabro di Matrioska, in
cui, in poche battute, nascita e morte diventano tutt’uno nel corso di un folle
e crudele esperimento ad opera del dottor Thanatellus, che intende dimostrare
come i tre atti di ogni vivente, ovvero nascere, riprodursi e morire, si
possono adempiere nello spazio di un minuto. Occorre aggiungere che il divertissement grottesco, in Marchisio,
non è mai fine a se stesso, perché sottende il tragico dell’esistenza: l’uomo, infatti, non può salvarsi da solo.
E le meditazioni dell’autore sono rese ancora più esplicite dagli aforismi,
veri e propri lampi del pensiero, impeccabili nella loro concisione, simili a
sciabolate capaci di smascherare le contraddizioni, i paradossi e le viltà
dell’uomo in balìa delle tenebre (“La propensione al male si rivela il più
delle volte incoercibile: qualora l’uomo intraveda anche soltanto una speranza
di assecondarlo, le sue energie, ipso
facto, si moltiplicano.”), ma anche di avvertire, qua e là, la misteriosa
presenza divina (“Nell’universo visibile, che non mi stanco di concepire
limitatissimo, trionfa il male. Il resto è dominio divino.”; o ancora “Se Dio
non esistesse la vita avrebbe un solo nome: Luogo del Nulla; e l’unico
pensiero, l’unica saggezza, l’unica virtù sarebbero quelli della pietra e del
silenzio”). Ecco, dunque, la consapevolezza del male, il quale esiste proprio
perché contrapposto al bene: “Ospitiamo l’angelo come la bestia: nostro preciso
dovere è sviluppare il primo e imbrigliare la seconda”. E poi: “La fede è cosa
rara e soggetta al tradimento, come l’amore. Una somiglianza su cui non
dobbiamo stancarci di riflettere”.
La
produzione più ampia presente nel libro è tuttavia quella poetica (ma non
dobbiamo dimenticare quella saggistica, che sarà integralmente raccolta in un
volume di prossima pubblicazione), nella quale Marchisio si è cimentato con
grande passione fin dagli esordi. Qui, oltre ai temi già accennati in
precedenza, troviamo un gusto che potremmo definire tardo-romantico o
decadente, che si esplica nella consapevolezza della vanità del tutto, della
solitudine, dell’esilio su questa terra, nonché dell’attesa che si plachi “la
furia del dolore”. E costante aleggia su tutto la presenza della morte, spesso
invocata come possibilità di pace e di uscita dal buio dell’anima, cosicché la
bara appare come “La miglior nicchia per chi deve attendere / La sconfitta
delle tenebre”. Interessante, poi, la duplicità rappresentata dal sentimento
d’amore, che da momento di luce e d’incanto si può tramutare repentinamente in
inganno e menzogna, rivelando così quella bassezza che quasi sempre si cela
negli atti umani.
Da
non sottovalutare la sezione poetica intitolata Bisbigli sotto il marmo, nella quale Marchisio è abilissimo nel
declinare poeticamente il suo gusto macabro e divertito, che risuona al lettore,
aldilà dello humor nero, anche come
monito e richiamo non solo all’ineluttabilità della morte (si legga, ad esempio
Teatrino), ma anche amara riflessione sull’uomo contagiato ed orrendo,
verso il quale Marchisio non mostra alcuna compassione, come nella sarcastica La bella umanità: “La bella umanità, io
l’amo / Soltanto da lontano. / Venendone a contatto / - O fatto strano! -, /
Prende forma di pantano: / Più agile d’un gatto / Mi morsica la mano, /
M’appesta e mi fa matto”. Affini come tono, troviamo poi i versi, in
conclusione al volume, della sezione intitolata Altre poesie giocose e satiriche, una miscellanea di
testi acuminati e beffardi, che prendono di mira vari personaggi, tra cui il
poeta stesso, e che si concludono spesso in modo crudele e grottesco.
La
rilettura dell’ampia produzione poetica e narrativa di Mario Marchisio conferma
la ricerca incessante – e a volte furiosa, urgente – di un autore che ha sempre
seguito la propria strada, aldilà delle mode imperanti. Una voce classica fuori dal coro, che ci scuote,
ci fa riflettere ed anche (giustamente) rabbrividire.
Mauro Germani