martedì 6 novembre 2018

Mario Marchisio - La morte attiva




Mario Marchisio, La morte attiva, Edizioni Aurora Boreale 2018

La morte attiva raccoglie le poesie, i racconti ed i pensieri che Mario Marchisio ha scritto nell’arco di un quarantennio. È quindi un’occasione per rileggere un’opera multiforme e particolarmente interessante non solo per le tematiche (esistenziali, filosofiche, teologiche) che affronta, ma anche per lo stile sempre nitido e classico, che rivela la straordinaria capacità dell’autore di spaziare senza forzature dalle forme metriche al verso libero, dalla narrazione drammatica, visionaria, grottesca o satirica alla brevità fulminante dell’aforisma.
Ciò che colpisce subito è proprio il rapporto tra la limpidezza della scrittura ed il suo abisso, nel quale tenebre e luce si scontrano incessantemente in una lotta che ha come posta in gioco il destino dell’uomo. La vastità dell’opera di Marchisio (il volume sopracitato consta di quasi cinquecento pagine) non elude mai, pur nella varietà dei generi e dei registri adottati, il tema di fondo dell’uomo conteso, che – cosciente o meno – è alle prese con la propria anima, attanagliata dal buio e sempre in bilico sul baratro della perdizione.
Marchisio è soprattutto un indagatore del male: ne sonda le terribili profondità, ne descrive gli inganni, le astuzie, le menzogne, i paradossi, consapevole che in questo mondo non c’è pace, perché la condizione umana è contaminata ab origine e la salvezza non è facile conquista.  Certi suoi racconti non sfigurerebbero insieme alle Storie sgradevoli di Leon Bloy, autore che – come scrisse Borges – “opinò qualche volta che siamo già all’inferno”. Del resto, non è proprio la Sacra Scrittura a decretare che Satana è il principe di questo mondo e che la vittoria sul male avverrà solo alla fine dei tempi?
In ambito narrativo, Marchisio costruisce storie, in questo senso, esemplari, nelle quali il male è sempre in agguato, sempre attivo, ed agisce con la sua opera devastante, spesso dietro una normalità o rispettabilità apparenti, come se nulla fosse. Le storie, quindi, smascherano ciò che in profondità è terribile e nascosto e l’autore illumina le tenebre, rendendole così evidenti al lettore.
Marchisio predilige la narrazione breve, tuttavia alcuni dei dodici racconti presenti nel volume, nella sezione intitolata Carni scosse, sono collegati tra loro dal nome di uno o più personaggi, a dimostrazione di una genealogia del male a cui è difficile sfuggire. Si vedano, a tal proposito, i racconti Condiscendenza, Ascanio e Trofei, nei quali segreti terribili, mostruosità e macchinazioni diaboliche si intrecciano quasi naturalmente, in un susseguirsi ineluttabile di atrocità. C’è poi il teatrino macabro di Matrioska, in cui, in poche battute, nascita e morte diventano tutt’uno nel corso di un folle e crudele esperimento ad opera del dottor Thanatellus, che intende dimostrare come i tre atti di ogni vivente, ovvero nascere, riprodursi e morire, si possono adempiere nello spazio di un minuto. Occorre aggiungere che il divertissement grottesco, in Marchisio, non è mai fine a se stesso, perché sottende il tragico dell’esistenza: l’uomo, infatti, non può salvarsi da solo. E le meditazioni dell’autore sono rese ancora più esplicite dagli aforismi, veri e propri lampi del pensiero, impeccabili nella loro concisione, simili a sciabolate capaci di smascherare le contraddizioni, i paradossi e le viltà dell’uomo in balìa delle tenebre (“La propensione al male si rivela il più delle volte incoercibile: qualora l’uomo intraveda anche soltanto una speranza di assecondarlo, le sue energie, ipso facto, si moltiplicano.”), ma anche di avvertire, qua e là, la misteriosa presenza divina (“Nell’universo visibile, che non mi stanco di concepire limitatissimo, trionfa il male. Il resto è dominio divino.”; o ancora “Se Dio non esistesse la vita avrebbe un solo nome: Luogo del Nulla; e l’unico pensiero, l’unica saggezza, l’unica virtù sarebbero quelli della pietra e del silenzio”). Ecco, dunque, la consapevolezza del male, il quale esiste proprio perché contrapposto al bene: “Ospitiamo l’angelo come la bestia: nostro preciso dovere è sviluppare il primo e imbrigliare la seconda”. E poi: “La fede è cosa rara e soggetta al tradimento, come l’amore. Una somiglianza su cui non dobbiamo stancarci di riflettere”.
La produzione più ampia presente nel libro è tuttavia quella poetica (ma non dobbiamo dimenticare quella saggistica, che sarà integralmente raccolta in un volume di prossima pubblicazione), nella quale Marchisio si è cimentato con grande passione fin dagli esordi. Qui, oltre ai temi già accennati in precedenza, troviamo un gusto che potremmo definire tardo-romantico o decadente, che si esplica nella consapevolezza della vanità del tutto, della solitudine, dell’esilio su questa terra, nonché dell’attesa che si plachi “la furia del dolore”. E costante aleggia su tutto la presenza della morte, spesso invocata come possibilità di pace e di uscita dal buio dell’anima, cosicché la bara appare come “La miglior nicchia per chi deve attendere / La sconfitta delle tenebre”. Interessante, poi, la duplicità rappresentata dal sentimento d’amore, che da momento di luce e d’incanto si può tramutare repentinamente in inganno e menzogna, rivelando così quella bassezza che quasi sempre si cela negli atti umani.
Da non sottovalutare la sezione poetica intitolata Bisbigli sotto il marmo, nella quale Marchisio è abilissimo nel declinare poeticamente il suo gusto macabro e divertito, che risuona al lettore, aldilà dello humor nero, anche come monito e richiamo non solo all’ineluttabilità della morte (si legga, ad esempio Teatrino), ma anche amara riflessione sull’uomo contagiato ed orrendo, verso il quale Marchisio non mostra alcuna compassione, come nella sarcastica La bella umanità: “La bella umanità, io l’amo / Soltanto da lontano. / Venendone a contatto / - O fatto strano! -, / Prende forma di pantano: / Più agile d’un gatto / Mi morsica la mano, / M’appesta e mi fa matto”. Affini come tono, troviamo poi i versi, in conclusione al volume, della sezione intitolata Altre poesie giocose e satiriche, una miscellanea di testi acuminati e beffardi, che prendono di mira vari personaggi, tra cui il poeta stesso, e che si concludono spesso in modo crudele e grottesco.
La rilettura dell’ampia produzione poetica e narrativa di Mario Marchisio conferma la ricerca incessante – e a volte furiosa, urgente – di un autore che ha sempre seguito la propria strada, aldilà delle mode imperanti. Una voce classica fuori dal coro, che ci scuote, ci fa riflettere ed anche (giustamente) rabbrividire.
Mauro Germani