Pierre
Drieu La Rochelle, Fuoco fatuo,
SugarCo 1979
Non
appartenenza e fuga dalla vita: questo è ciò che caratterizza Alain, il
protagonista di Fuoco fatuo, il
romanzo che Pierre Drieu La Rochelle (1893-1945) scrisse nel 1931. Egli,
infatti, si sente come un fantasma in questo mondo, non ha pace, non ha alcun
motivo per esistere veramente. E’ sempre fuori
di sé, sempre altrove. Ciò che vive è
inevitabilmente toccato dall’ombra.
La sua figura sprigiona un fascino strano, un mistero inavvicinabile. Passa attraverso
gli eventi con una lontananza che inquieta, mosso da qualcosa che sfugge, ma
che è potente. E’ un destinato, un
prescelto del nulla (“Io non sono nulla; e la morte è due volte nulla”), una
specie di adolescente che sfida se stesso e gli altri, anche se il suo cammino
non conduce alla cosiddetta maturità bensì alla morte. Tutto nel romanzo ha il
brivido ultimo, tutto concorre all’ineluttabile che viene ricercato dal
protagonista, “questo straniero che guardava con la tenerezza remota e
derisoria di un morto”.
Seduttore
suo malgrado, seduttore senza amore, seduttore sedotto dalla morte, Alain vive
l’attimo per distruggerlo e vincere nell’impossibile. C’è qualcosa di eroico,
ma è un eroismo alla rovescia, un trionfo della dissipazione e del vizio, un precipitare
nel baratro aperto dall’esistenza.
E’
una fenomenologia dell’abisso, la descrizione del lavoro inesorabile della
morte, uno sguardo lucido – quello di La Rochelle – che non può lasciare
indifferenti. La sua scrittura testimonia questo scacco mortale, questo addio
prolungato, questo parlare a nessuno. Perché le parole di Alain restano nel
vuoto e gli interlocutori sono solo apparenti, sono ombre che si dissolvono.
Ma
se non c’è scampo per il protagonista, in realtà non c’è nemmeno per gli altri,
tutti persi ed imprigionati in un mondo insignificante, verso cui Alain prova
sempre più disgusto. A ben vedere, il denaro sembra essere il feticcio
necessario, intorno al quale gravita la vita sociale di ciascuno. Denaro per la
libertà, secondo la concezione adolescenziale
di Alain; denaro per la propria identità, secondo gli altri. Frammenti
d’esistenza intorno a qualcosa che eccede, che pare giocare o liberare, ma
che in realtà opprime, proprio come la droga che il protagonista assume. Una
spirale che avvolge e che soffoca. E vivere senza lavorare e farsi mantenere –
ciò che ha sempre fatto e fa Alain, con il suo attaccamento all’adolescenza – non
è una soluzione, ma un’altra forma di schiavitù, come ora ben comprende. Non
c’è via d’uscita nel mondo borghese che frequenta. Gli incontri, un matrimonio
fallito, l’alcol, la droga, le donne, le richieste continue di denaro: tutto
così risibile e tragico, tutto così accerchiato dal vuoto, così nulla. E l’incapacità di esistere
davvero, di essere reale nella realtà.
Se
per un attimo la scrittura pare ridestare in lui qualcosa, una potenza
nascosta, che “raccoglie e unisce le forze diffuse della vita umana”, è ormai
troppo tardi. Egli è un viaggiatore senza
biglietto, come ha intitolato l’abbozzo di una sua confessione, poche righe
appena: è un estraneo fra estranei, è un colpevole che continua a trasgredire
la vita, è un clandestino di passaggio, un fantasma che ormai ha rinunciato a
incarnarsi non solo in quel mondo, ma
nel mondo. E’ davvero troppo lontano.
E così la “piccola carovana di parole, che portava il ristretto bagaglio di
desideri con cui avrebbe potuto rifornire la sua ragion d’essere, e che egli
aveva abbandonato per tanto tempo in mezzo al deserto del foglio” è destinata a
fermarsi per sempre. Non scriverà più.
Anche
le parole dell’amico Dubourg, che tenta di salvarlo - prima compagno di
trasgressioni ed ora integrato e sposato, con la passione dell’egittologia - sono
inutili, anzi non fanno che rafforzare il suo desiderio di fuga e di annullamento.
Alain
comprende la propria inconsistenza e
la propria diversità, ma non sarà la droga ad ucciderlo, perché ora ha bisogno
di concretezza, di realtà. Ora vuole esserci davvero. Non più discorsi a metà,
relazioni fasulle, richieste di denaro, viaggi
senza biglietto, ma un gesto unico, definitivo: “Una pistola è solida, è
d’acciaio. E’ una cosa. Aderire, finalmente, alle cose”.
Il
lavoro della morte, a cui si accennava prima, pare così trasformarsi in un
paradosso estremo, cioè nell’appropriazione
della morte da parte della vita. E il fatto che poi il 15 marzo 1945 anche
Pierre Drieu La Rochelle abbia posto fine alla propria tormentata esistenza non
è certo da considerarsi secondario.
Mauro Germani