sabato 23 maggio 2020

Giorgio Pressburger - La legge degli spazi bianchi


Che cosa nasconde l’indicibile? Qual è la malattia bianca che lo governa? E quali forme d’esistenza consente? Sono queste alcune delle domande che scaturiscono spontanee dalla lettura del libro La legge degli spazi bianchi (1989) di Giorgio Pressburger (1937-2017). 
Si tratta di un’opera composta da cinque racconti, che hanno come protagonisti o come osservatori dei medici coinvolti in esperienze estreme, laddove la scienza vacilla davanti al mistero dell’esistenza. Cinque storie narrate con lucidità inquietante. Cinque destini segnati da ciò che travalica la ragione e sconvolge i sensi, annullando le nostre consuete coordinate. Cinque casi ultimi, che sfuggono ogni logica. Cinque abissi.
Perché le domande che suscitano non hanno alcuna risposta definitiva, ed il lettore sperimenta così la propria solitudine davanti alla nudità dei fatti, a quella serie di eventi inspiegabili che proprio l’afasia ed il silenzio sembrano aver reso possibili. C’è, insomma, una sorta di ossimoro esistenziale, una possibilità dell’impossibile – un’origine spezzata, una lacuna, un impedimento – che scatena forze inarrestabili, destinate ad una conclusione drammatica, che è morte, o follia, o smarrimento in luoghi sperduti, senza nome. Entriamo così nella malattia, in quelle zone oscure della mente e del corpo, in quei labirinti dell’offuscamento, in cui  c’è solo una continua e progressiva perdita di sé, come una strana forma d’obbedienza ad altro, un’adesione esclusiva all’innominabile. Ed è in questo slittamento, in questo franare nel vuoto, che vivono le loro esperienze i personaggi descritti da Pressburger, come se a poco a poco fossero trascinati dal demoniaco, che si nasconde nelle fratture della loro esistenza: in quella mancanza nascono i loro fiori del male, proprio perché «la malattia si annida, infatti, nel corpo, ma ha origine nel negativo metafisico e i suoi sintomi si manifestano come sottrazione d’essere».
Dei cinque racconti, i primi tre risultano particolarmente riusciti: La legge degli spazi bianchi, Orologio biologico e Vera.
Il primo narra la vicenda del dottor Fleischmann, destinato col tempo, a soli 55 anni, a sprofondare – lui medico stimato e fino ad allora in compiaciuto vigore fisco – in una terribile situazione di non ritorno, ovvero a non riuscire più a pronunciare alcune parole e a perdere in seguito anche la memoria; la sua ultima frase comprensibile, ma enigmatica, sarà: «Tutto è scritto negli spazi bianchi tra una lettera e l’altra. Il resto non conta».
Il secondo racconto, invece, nasce dalla constatazione di un tempo sfasato, di un’anomalia dell’esistenza che coinvolge il medico protagonista e la signora Polak, ormai settantenne e sposata ad un uomo gravemente ammalato. «L’orologio della nostra vita è sempre andato o troppo avanti o troppo indietro, mai con il tempo giusto per noi», dirà la donna all’uomo, che da giovane l’ammirava di nascosto quando lei prendeva il sole; e la tragedia finale confermerà questo destino. Ancora troviamo uno spazio, un vuoto che si spalanca e dà origine alla vicenda.
Vera è sicuramente il racconto migliore del libro. Qui Pressburger, in una narrazione più lunga, si addentra insieme al protagonista, il dottor Abramo Friedmann, nei territori del mistero e della follia. La vita del medico, infatti, sarà sconvolta da Vera, una ragazza di sedici anni dall’aspetto di bambina, pressoché muta e quasi incapace di camminare, a causa del male che l’ha colpita e di tre operazioni al cervello, ma dai lineamenti bellissimi: «Il viso, privo di spigoli, color rosa attorno agli zigomi, pareva perfettamente conchiuso in sé. Il naso piccolo e dritto, le labbra d’un rosa tenue, carnose senza essere aggressive, d’una linea morbida ma precisa, non potevano avere altra forma. […] Aveva un abito rosso a fiori bianchi, e scarpette rosse, di stoffa. Il suo respiro era un esile soffio, tenero e profumato, tanto discreto da destare ammirazione, non pietà». Per Friedmann, Vera diventerà un’ossessione senza scampo, insieme alla relazione tormentata con la madre di lei: un precipitare nell’isolamento e nella follia, tra momenti di esaltazione e rimorso, tra dolcezza e violenza, nell’oscura consapevolezza che «tutto è vacuo, tranne la colpa. Quella si solidifica, il resto evapora». Di fronte a Vera, enigma della natura, della malattia e del mondo, non c’è scienza che tenga. Al cospetto della sua fragile e misteriosa bellezza, non c’è per l’uomo Friedmann che l’attrazione di quell’abisso, la passione senza nome che lo travolgerà.
La scrittura di Giorgio Pressburger, autore di formazione culturale mitteleuropea (era nato in Ungheria, da cui fuggì nel ’56), ha costituito – come  ebbe modo di affermare Leone Piccioni nell’introduzione al volume edito dalla Biblioteca Universale Rizzoli nel 1992, quattro anni dopo la prima edizione uscita da Mariettti – «una variante importante nel clima generale della nostra narrativa”, raggiungendo «un risultato letterario anche, e specialmente, dal punto di vista linguistico, di piena autenticità».
Mauro Germani

sabato 9 maggio 2020

Léon Bloy - Pensieri


I cristiani devono essere continuamente chini sugli abissi.

Lettres à sa fiancée, 11 décembre 1889

Sono l’incudine in fondo all’abisso, l’incudine di Dio, che mi fa soffrire così perché mi ama, lo so. L’incudine di Dio, in fondo all’abisso!... E sia. È un buon posto per fargli da eco. La coppa dei tormenti è troppo piena ancora, e chi m’aiuterà a berla?

Le mendiant ingrat, 12 novembre 1895

Non riesco a provare la gioia della Resurrezione, perché la Resurrezione per me non arriva mai. Io vedo sempre Gesù in agonia, Gesù in croce, e non posso vederlo altrimenti.

Le mendiant ingrat, 14 avril 1895

Siamo tutti un popolo di prigionieri seduti nelle tenebre e conosciamo l’amore solo quando vediamo soffrire quelli che amiamo.

Lettres à sa fiancée, 18 janvier 1890

La mia anima è in contatto con il nulla.

Le mendiant ingrat, 9 juin 1892

Ho raramente ottenuto l’approvazione dei cattolici e soprattutto dei preti, che vogliono vedere in me uno spirito molto pericoloso, perché penso nell’Assoluto, e mi dichiaro indifferente. Essi hanno bisogno di gruppi e truppe, e i solitari sono sospetti.

Le pèlerin de l’Absolu, 25 juillet 1911

Bisogna mangiare per vivere. Ho sentito dire che una volta c’era una Carne per i poveri e che i morti di fame avevano come risorsa di poter mangiare Dio per vivere eternamente […] Oggi il borghese ha preso il posto di Gesù […].

Exégèse des lieux communs, I série, IX

Io non ho il vostro temperamento, la pietà non può spegnere in me la collera, perché la mia collera è figlia d’un presentimento infinito. Sono divorato dal bisogno della giustizia, come un drago affamato dopo il diluvio, la mia collera è l’effervescenza della mia pietà.

Le mendiant ingrat, 3 septembre 1893

Il sangue del povero è il denaro. Di esso si vive e si muore da secoli. È la sintesi efficace di ogni sofferenza. È la gloria, è la potenza. È la giustizia e l’ingiustizia. È la tortura e la voluttà.

Le sang du pauvre, 23 janvier 1900

Una santa può cadere nel fango e una prostituta può salire alla luce.

Lettres à sa fiancée, 27 novembre 1889

Gesù fa passare la sua croce dalle sue spalle alle nostre e dalle nostre alle sue, così che piangiamo sempre o di dolore o di compassione.

Quatre ans de captivité à Cochons-sur-Marne, 1° mars 1903

Quando si muore, una sola cosa si porta con sé: le lacrime versate e le lacrime che si son fatte versare, capitale di beatitudine o di spavento. È su queste lacrime che si verrà giudicati, perché lo Spirito di Dio viene sempre «sulle acque».

L’invendable, 2 octobre 1904

Sono solo. Ho, sì, una moglie e due figli che mi amano e che io amo […]. Eppure, sono solo nel mio genere, sono solo nell’anticamera di Dio. Quando verrà il mio turno di comparire, dove saranno quelli che io ho amato e che mi hanno amato? […] Più ci si avvicina a Dio, più si è soli. È l’infinito della solitudine.

Méditations d’un solitaire en 1916, I

L’idolatria consiste nel preferire il visibile all’invisibile.

Le mendiant ingrat, 9 juillet 1893

Parliamo dell’orrore di vivere, in questo mondo, e della somiglianza con i demoni che la mancanza di cristianesimo conferisce senza dubbio alla maggior parte dei contemporanei, ricchi o poveri. Parliamo dell’Invisibile. Io dico che tutto ciò che vediamo, tutto ciò che accade all’esterno, è soltanto un’apparenza – un riflesso enigmatico, per speculum – di ciò che accade, sostanzialmente, nell’Invisibile. Cosa c’è di più apparente, di più esteriore della mia vita?

Le mendiant ingrat, 3 et 4 juillet 1893

Sulla terra noi vediamo l’Invisibile attraverso il visibile. Dopo la morte, vediamo il visibile attraverso l’Invisibile.

Quatre ans de captivité à Cochons-sur-Marne, 30 mars 1903

Una lacrima di Maria è qualcosa davvero! Una lacrima della Purissima per me, pover’uomo sommerso nel diluvio della collera e del pentimento divini! Una lacrima della rosa mistica per me, tutto solo, nel fetore di questa fossa in cui imputridisco, nell’attesa di una morte che forse sarà orribile! Perché, alla fine, lei ha pianto esattamente come suo figlio ha versato il suo sangue, cioè per ciascun uomo in particolare, giudicato da lei e da lui prezioso come tutti i mondi.

Méditations d’un solitaire en 1916, XVIII

Quando mi sveglio al mattino, ho spesso, già da molti anni, l’impressione di essere uno di quegli infelici condannati a una morte lenta che, ancora sfiniti per le torture del giorno prima, sono tirati via da un orribile sonno per sopportare nuovi tormenti.

Le mendiant ingrat, 15 juillet 1892

Ciò che un uomo è esattamente, nessuno può dirlo […]. So che sono nato in una data epoca, in un dato luogo, e che ho un nome tra gli uomini. Ho avuto un padre e una madre, fratelli, amici e nemici. Questo è fuori di dubbio; eppure ignoro il nome della mia anima, da dove sia venuta e, di conseguenza, non so assolutamente chi sono.

Méditations d’un solitaire en 1916, VI

Ho la netta sensazione che tutti si sbaglino, che tutti siano ingannati, che lo spirito umano sia caduto nelle più fitte tenebre.

Le mendiant ingrat, 29 juin 1892

Siamo dei dormienti pieni d’immagini semicancellate dell’eden perduto, mendicanti ciechi davanti a un palazzo sublime che ha la porta chiusa. Non solo non riusciamo a vederci l’un l’altro, ma ci è impossibile distinguere, dal suono della voce, perfino chi ci è più vicino.

Dans les ténèbres, II

Di fronte alla morte d’un bambino, l’arte e la poesia sembrano davvero delle inezie molto grandi […]. Ma i gemiti delle madri e, ancora di più, la silenziosa angoscia dei padri hanno ben altra potenza delle parole o dei colori, tanto la pena dell’uomo appartiene al mondo invisibile.

La femme pauvre, deuxième partie, X

C’è forse, per un essere umano, qualcosa di più importante dell’esser morto? Esiste una condizione più piacevole, più invidiabile, più desiderabile, più squisita, più spirituale, più divina, più terribile, della condizione di un morto, di un morto vero che si mette sotto terra e che è già comparso davanti a Dio per esser giudicato?

Mon journal, 9 janvier 1900

La letteratura, per la quale non vivo e che non è il mio scopo, mi appare da molto tempo uno strumento insignificante del mio supplizio, nell’attesa che venga il mio giorno, ma la forma speciale, l’aspetto voluto, la specie essenziale della mia tribolazione è la miseria.

Le mendiant ingrat, 16 janvier 1895

Non vi accorgete che il silenzio è la conversazione dei morti e che bisogna parlare ai vivi, soprattutto quando sono in agonia e tutti li abbandonano?

Le mendiant ingrat, 29 juin 1892

Se vi piacciono le espressioni bibliche, io sono, non lo sapete?, uno di quegli uomini della sera, « la cui mano è alzata contro tutti e contro il quale si alza la mano di tutti ». Ho vissuto senza vergognarmene in un’estrema solitudine, popolata di risentimenti e desideri feroci partoriti dalla mia esecrazione dei contemporanei, scrivendo o gridando quello che mi sembrava giusto, anche a costo di crepare, e senza mai reclamare, per le mie aggressioni o per la mia difesa, l’aiuto d’una qualsiasi altra penna secolare.

Le mendiant ingrat, 14 août 1892

Io sono triste per natura, come si è piccoli o come si è biondi. Sono nato triste, profondamente, orribilmente triste, e se sono posseduto dal più violento desiderio della gioia, è perché così vuole la legge misteriosa che attira i contrari.

Lettres à sa fiancée, 21 novembre 1889


Gli scritti di Léon Bloy sopra riportati sono tratti da L. Bloy, La tristezza di non essere santi, Paoline, 1998.
A proposito dello stesso autore, si veda su questo blog la nota critica relativa a Storie sgradevoliQUI