venerdì 31 gennaio 2020

LA CITAZIONE (n.18) - Elie Wiesel


I tre condannati salirono insieme sulle loro seggiole. I tre colli vennero introdotti contemporaneamente nei nodi scorsoi.
-Viva la libertà! - gridarono i due adulti.
Il piccolo, lui, taceva.
- Dov'è il buon Dio? Dov'è? - domandò qualcuno dietro di me.
Ad un cenno del capo del campo le tre seggiole vennero tolte.
Silenzio assoluto. All'orizzonte il sole tramontava.
- Scopritevi! - urlò il capo del campo. La sua voce era rauca. Quanto a noi, noi piangevamo.
- Copritevi!
Poi cominciò la sfilata. I due adulti non vivevano più. La lingua pendula, ingrossata, bluastra. Ma la terza corda non era immobile: anche se lievemente il bambino viveva ancora...
Più di una mezz'ora restò così, a lottare fra la vita e la morte, agonizzando sotto i nostri occhi.
Dietro di me udii il solito uomo domandare:
- Dov'è dunque Dio?
E io sentivo in me una voce che gli rispondeva:
- Dov'è? Eccolo: è appeso lì, a quella forca...

Elie Wiesel, La notte, Giuntina, 1980.

domenica 26 gennaio 2020

Antonio Di Benedetto - L'uomo del silenzio


Antonio Di Benedetto, L'uomo del silenzio, Bur Rizzoli, 2006

“Scrivo per mettere in chiaro ciò che mi fa male, ciò che fa male alla gente come me. Scrivo per capire e capirmi. Scrivo perché la mia soggettività esplori i paesaggi aperti e le caverne scure che il mondo reale propone alla gente”. 
Con queste parole lo scrittore argentino Antonio Di Benedetto (1922 – 1985) sottolineò in un’intervista gli scopi della propria opera, che qui in Italia è poco nota. Autore di romanzi e racconti dominati dalla solitudine e da un rapporto conflittuale con la realtà, che spesso degenera in una follia che appare come il doppio oscuro del mondo, Di Benedetto è stato per lungo tempo uno scrittore emarginato anche nel proprio paese, se si pensa, tra l’altro, che venne sequestrato e poi incarcerato nel 1976, a poche ore dall’inizio del golpe militare del generale Jorge Rafael Videla, e rilasciato un anno e mezzo dopo, ammalato e sconfortato.
L’uomo del silenzio, pubblicato nel 1964 e apparso in Italia per la prima volta nel 2006, è un romanzo assai singolare, contraddistinto da una struttura frammentata e da una prosa di una strana nitidezza ipnotica, che narra la storia, in prima persona, come in un diario sempre più delirante, di un uomo ossessionato dai rumori.
Egli vive disturbato dalla realtà, senza mai trovare il silenzio e la pace che desidera. La sua vita è costantemente assediata da rumori che diventano per lui sempre più intollerabili. Dietro la sua apparente normalità quotidiana, si nasconde un tormento che disgrega a poco a poco il suo io e lo costringe ad una sorta di doppio gioco, una finzione con gli altri e con sé stesso, in quanto ciò che fa non corrisponde spesso a ciò che è. Di qui il terrore segreto della propria identità smarrita, violata o addirittura spezzata: “Anche quando sto con me stesso, sono accompagnato. Giacché se sto con me stesso non sono solo, siamo in due. […] Quale dei due sono io? Hanno cominciato a confondermi e mi stava assalendo la paura di essere due, o di albergare un altro in me, o di aver perduto l’altro mio io o di trovarmi sotto il suo dominio”.
Ma la ricerca di una normalità (il matrimonio, il figlio) si rivela impossibile, perché altro è in lui, altro lo assale, altro lo divora nelle notti insonni. Le sue coperture, le sue maschere, non reggono più. E inutili  risultano poi  i suoi tentavi di sfuggire alla condanna dei rumori con continui traslochi nella speranza di trovare una casa ideale, un posto per lui nel mondo, oppure di appellarsi alle autorità ed alla giustizia per essere aiutato. Anche il progetto di scrivere un libro, intitolato non a caso Il tetto, è destinato a non realizzarsi. Il protagonista è dunque un personaggio profondamente solo, lacerato e votato alla sconfitta: è chiaro che ciò che non sopporta è in realtà la vita così com’è.
E a rendere ancora più inquietante la narrazione, al cui interno sono sicuramente ravvisabili richiami kafkiani, vi è poi il rapporto del protagonista con il suo amico Besariòn, personaggio altrettanto folle (è interessante notare come quest'ultimo sia in grado di decifrare il progressivo delirio del protagonista, ma non sappia riconoscere il suo),  che afferma di avere una imprecisata missione da compiere, di cui non vuole e non può rivelare nulla; un personaggio che, a ben vedere, risulta speculare al protagonista; anch’egli, in fondo, non sopporta la realtà, e tenta di esistere altrove, vuole esistere nel sogno, ma morirà senza essere riconosciuto da nessuno. In entrambi i personaggi si rivela così una volontà distruttiva ed autodistruttiva, alimentata da un'attesa costantemente delusa: quella dell'irraggiungibile silenzio per il protagonista, e quella di un'esistenza impossibile per Besariòn.
Il rapporto conflittuale e sempre frustrante tra desiderio e realtà è presente anche nel primo, particolarissimo ed inclassificabile romanzo di Antonio Di Benedetto, Zama (Sur, 2014), scritto nel 1955. Qui il protagonista è un funzionario della corona spagnola di fine Settecento, che vive in Paraguay, lontano dalla famiglia, e spera in una promozione che non arriverà mai. Anche in questo libro la realtà sfuma a poco a poco in un delirio visionario, fino a divenire un viaggio metafisico al termine del quale c’è solo un’immensa solitudine. E vale la pena citare la bellissima epigrafe che Antonio Di Benedetto ha apposto al romanzo: alle vittime dell’attesa.
Mauro Germani



domenica 5 gennaio 2020

Georges Bernanos - Sotto il sole di Satana



Chi legge oggi un autore come Georges Bernanos? Chi ha il coraggio di affidarsi alla forza impetuosa della sua scrittura e soprattutto di lasciarsi assalire dalla drammaticità delle vicende da lui narrate, dai dilemmi, dai tormenti e dalle sfide dei suoi personaggi?
Scrittore cattolico, ammiratore di Leon Bloy (quest'ultimo venne chiamato lo scorticato, oppure il pellegrino dell’assoluto), Bernanos è stato un indagatore del buio e del male, capace – con la sua prosa visionaria e realistica insieme – di rendere visibile l’invisibile, come molti hanno sostenuto. Nemico della letteratura fine a sé stessa, degli scrittori innocui da salotto, sentiva l’urgenza di esporsi in prima persona, scosso da una febbre di scandalosa verità e da un’ansia bruciante contro il cosiddetto quieto vivere  e la sonnolenza religiosa.
Bernanos – come ebbe modo di sottolineare Carlo Bo – è stato un autore che ha disorientato soprattutto i cattolici e i benpensanti, con la sua “parola che non lascia mai la presa e quando ci si presenta conserva ancora del fuoco da cui è uscita, del fuoco a traverso cui è passata”. Per questo in lui non dobbiamo cercare l’architettura, la struttura ben calcolata e ragionata, la proporzione o addirittura l’armonia dell’opera, perché nei suoi romanzi, al contrario, prevale l’anima (e non la psicologia, si badi) dei personaggi, travolti da qualcosa di più grande di loro, che  investe lo stesso autore. La forza della realtà creata diviene in Bernanos talmente dirompente da assalirlo, da trascinarlo con violenza in un linguaggio da posseduto, in una sfida estrema. Egli non cercava la verosimiglianza, ma la verità implacabile delle parole, dei gesti, degli sguardi dei personaggi da lui evocati. Essi parlano e agiscono segnati dal profondo della loro esistenza, non sono ombre di carta, ma anime di carne gettate sulla pagina. E bisogna aggiungere che non deve essere stato per nulla facile, per Bernanos, avere a che fare con un’esperienza di scrittura così radicale e pericolosa, in preda a forze di per sé stesse ingovernabili, e riuscire poi a comporre libri così scomodi e potenti – almeno per chi è in grado di avvicinarli col giusto atteggiamento. In caso contrario, il rischio è quello  di giudicare l’intera opera di Bernanos oscura, caotica, e perfino assurda.
Sotto il sole di Satana (1926) è il suo primo romanzo, ma già in esso troviamo temi e motivi che contrassegneranno la produzione letteraria successiva. Diviso in tre sezioni (Prologo – Storia di MouchetteParte prima – Tentato dalla disperazione; Parte seconda – Il santo di Lumbres), il libro è essenzialmente la storia di due anime in lotta: la prima, quella della giovanissima Mouchette, votata al male e alla menzogna, nella cinica consapevolezza della propria autodistruzione, e quella di Donissan, prete destinato a una santità tormentata, in perenne conflitto con sé stesso ed il mondo, capace di leggere nel profondo delle persone, dopo aver conosciuto “lo spaventoso orrore del peccato, lo stato miserabile dei peccatori e la potenza del demonio”. Pur essendo contrapposti, i mondi di questi due personaggi non sono in realtà lontani, perché entrambi si trovano al centro di una contesa che non dà tregua e che in certi momenti pare addirittura confonderli, come sa bene l'abate Donissan. Si legga questo passo: 
"Oh, voi, che mai avete conosciuto del mondo se non colori e suoni senza sostanza, liriche bocche dove l'aspra verità si scioglierebbe come una pralina – cuori da poco, bocche da poco – tutto questo non è per voi. Le vostre diavolerie sono a misura dei fragili nervi che avete, e il Satana del vostro strano cerimoniale non è che l'immagine deformata di voi stessi, perché colui che è devoto all'universo carnale è Satana a se stesso. Il mostro vi guarda ridendo, ma non ha messo su di voi il suo artiglio. Non è nei vostri libri farneticanti, e neppure nelle vostre bestemmie o nelle vostre ridicole maledizioni. Non è nei vostri sguardi avidi, nelle vostre mani infide, nelle vostre orecchie piene di vento. Invano lo cercate nella carne più segreta che il vostro miserabile desiderio attraversa senza saziarsi, mentre la bocca che mordete non rimette che un sangue dolciastro e pallido... E tuttavia è... È nella preghiera del Solitario, nel suo digiuno e nella sua penitenza, nei recessi dell'estasi più profonda, e nel silenzio del cuore... Avvelena l'acqua lustrale, brucia nella cera consacrata, spira nel fiato delle vergini, strazia con il cilicio e il flagello, corrompe ogni via".
Mouchette ha scelto di perdersi, vuole annullarsi nel proprio abisso (l’omicidio del primo amante, il marchese di Cadignan, poi il rapporto con l’ufficiale sanitario Gallet, infine il suicidio); Donissan – il futuro santo di Lumbres – dedito a crudeli penitenze corporali, è così tormentato da un profondo senso di inadeguatezza che è persino assalito da tentazioni suicide. In entrambi, anche se in modo diverso, fa la sua comparsa la seduzione del nulla: "Conoscere per distruggere, e rinnovare la propria conoscenza e il proprio desiderio – o  sole di Satana! – desiderio del niente ricercato per se stesso, abominevole effusione del cuore!". 
Nessun atteggiamento manicheo in Bernanos, ma l’attenzione a rappresentare l’irrappresentabile, cioè l’anima in preda all’esistenza e alle forze misteriose che la sottendono e la sopravanzano insieme. Egli non ha paura di calarsi nelle tenebre perché sa che in esse c’è comunque una verità nascosta. La notte, che domina tutto il romanzo, è duplice: è quella demoniaca di Mouchette, ma anche quella della solitudine e della Passione di Cristo. Essa è un elemento che avvolge, che assale e che rivela, come testimoniano, ad esempio, le bellissime pagine in cui Donissan, smarrito nella pioggia e nel buio della campagna, incontra prima Satana, e poi Mouchette.
Chi è veramente l’abate Donissan? – ci chiediamo. La risposta non è semplice. Pare che Bernanos si sia ispirato al Curato d’Ars, ma certamente ha creato una figura misteriosa, che attrae e sconcerta, presa d’assalto dal soprannaturale, come nell’episodio in  cui viene tentato (da Satana o da Dio?) dal compiere un miracolo per far risuscitare un bambino. Un prete, che ha speso la propria vita per gli altri e a cui gli altri ricorrono per le loro pene, ma sempre solo nel suo tormento, fino allo stremo delle forze, un santo senza aureola, un eroe del cielo, povero e ostinato, che morirà nel confessionale, per adempiere fino all’ultimo alla sua missione. Bernanos fa trovare il suo cadavere a un ricco e ipocrita scrittore di successo, nonché accademico di Francia, Antoine Saint-Marin (verso cui lo scrittore francese mostra tutto il suo disprezzo), venuto a cercarlo solamente per curiosità e ricavarne magari una pubblicazione. Egli vedrà “la bocca nera, nell’ombra, simile a una ferita aperta dall’esplosione di un ultimo grido”: il gesto finale di una sfida tremenda.
Sotto il sole di Satana è un libro intenso e disorganico (ma affascinante proprio per questo). Leggendolo, non si può non restare colpiti dalla straordinaria abilità di Georges Bernanos nel descrivere il travaglio spirituale dei personaggi e soprattutto nel dare voce alle loro anime assediate (si vedano, a questo proposito, i dialoghi, davvero potenti, veri e propri gorghi d'anima), nell’intento di strappare il lettore alla propria inerzia spirituale, anzi di scaraventarlo in quell’agone ancestrale che – pur invisibile – condiziona da sempre, secondo lo scrittore francese, la nostra esistenza.

Nota - Risale al 1987 il film omonimo di Maurice Pialat tratto dal romanzo di Bernanos, interpretato da Gérard Depardieu nel ruolo di Donissan e da Sandrine Bonnaire in quello di Mouchette. La pellicola si aggiudicò, tra i fischi del pubblico e non poche polemiche, la Palma d’oro al Festival di Cannes. Nel nostro Paese il film ebbe una scarsa distribuzione, tanto che, a tutt’oggi, non esiste la versione italiana  in DVD.

 

 



mercoledì 1 gennaio 2020