lunedì 7 ottobre 2019

Perché questo libro è stato scritto?




Perché questo libro è stato scritto?
La domanda può sembrare banale, ma in realtà è importante, ed è giusto che il lettore se la ponga al termine della sua impresa. Un’opera, infatti, per essere davvero tale ed autentica, deve avere una sua intima necessità, una sua ragion d’essere, se non addirittura un’urgenza impellente.
Purtroppo oggi capita sovente che, dopo aver letto una silloge poetica o un testo di narrativa di un autore contemporaneo, non vi sia alcuna risposta autentica e convincente al suddetto interrogativo. La domanda perché questo libro è stato scritto? resta dentro di noi senza esito ed il libro rimane tra le nostre mani come qualcosa di inerme, vuoto, e soprattutto innocuo. Non si riesce a capire che cosa abbia mosso l’autore, quale sia stata la ragione profonda del suo scrivere, aldilà naturalmente della propria ambizione personale, del suo voler essere scrittore o poeta
Spesso – soprattutto in ambito poetico – ci troviamo davanti a semplici esercizi di stile, oppure a fastidiose imitazioni, di cui non si riesce a comprendere la motivazione, se non quella di emulare presunti ed affermati "maestri" per trarne vantaggi personali. Nel migliore dei casi assistiamo ad elaborazioni costruite anche con una certa abilità, ma che non scalfiscono minimamente il nostro animo ed il nostro pensiero, perché in tali esercizi, in tali compitini, in realtà non c’è niente
In essi manca ciò che non può mancare in un’opera letteraria: l’esistenza. Se quest’ultima è assente, che cosa resta? Un vacuo, noioso e spesso insopportabile gioco di parole, che rivela solo la propria insensatezza. Se in un libro non c’è l’esistenza, non c’è nemmeno la sua ragione d’essere. Perché scrivere se non siamo capaci o abbiamo paura di affrontare il pericolo stesso della scrittura, la quale non può essere svincolata dall’esistenza? Perché continuare a produrre opere inconsistenti, senza il mistero e/o il dramma di tutti noi, dell’esistere, del nostro essere qui, con tutte le contraddizioni, i dubbi, gli smarrimenti, gli errori, i tormenti, che fanno parte della nostra condizione di esseri umani? Perché comporre in poesia esercizi ordinati ed inoffensivi, oppure scrivere romanzi o racconti scaltri, ma privi di una scrittura autentica, originale, sofferta? Perché non assumere il rischio che la parola richiede, quel rischio che pure hanno conosciuto schiere di poeti e di scrittori, che hanno pagato fino alle conseguenze più estreme la malattia, anzi la maledizione, della scrittura? Non c’è alcuna missione salvifica nello scrivere, perché questo nasce dall’esistenza e l’esistenza è di per sé maledetta, è contagiata dal male. Ogni scrittore o poeta vero è in fondo un maledetto, un segnato dal male, anche se la sua opera magari apre alla speranza o contiene una concezione religiosa dell’esistenza. Non si può sfuggire a questo. L’autenticità non si compra, né si baratta, e proprio per questa ragione occorre prendere le distanze anche da un certo ambiguo maledettismo d’accatto o ragionato, dunque di maniera, qua e là presente in alcuni giovani poeti contemporanei, epigoni illusi o maldestri dei loro compiacenti maestri.
Ritornando alla domanda iniziale perché questo libro è stato scritto? la risposta dovrebbe allora essere sempre unica: perché l’ha dettato l’esistenza, in quanto è proprio dalla tensione continua e mai definitivamente compiuta, ed anzi drammatica, tra parola ed esistenza, che può nascere un’opera autentica, capace cioè di incarnare la suddetta tensione nella pagina e trasmetterla al lettore, coraggiosamente, con tutti i rischi ed i pericoli (ancora una volta dell’esistenza stessa) che questo comporta per entrambi i soggetti coinvolti, vale a dire chi ha scritto e chi ha avuto la ventura di leggere.
Mauro Germani