venerdì 26 gennaio 2018

LA CITAZIONE (n.7) - Eugene Ionesco


"Sprofondo nel buio. Fiochi lumi nelle tenebre. Se circolo per la strada o vedo circolare la gente, ho l'impressione che siano ombre. Attorno a me nient'altro che fantasmi ambulanti. E questa impressione d'irrealtà. L'esistenza non mi pare reale, il niente è più vero dell'esistenza? Aspetto la grazia da sempre, che lunga pazienza!"  (gennaio 1978)

Eugene Ionesco, Il mondo è invivibile, Spirali, 1989

lunedì 15 gennaio 2018

Léon Bloy - Storie sgradevoli


Léon Bloy, Storie sgradevoli, Franco Maria Ricci editore, 1975

Léon Bloy (1846-1917) – ovvero lo scorticato, o il pellegrino dell’assoluto, come venne chiamato – è stato uno scrittore estremo, tormentato da un cattolicesimo apocalittico, nonché da un furore antiborghese e da una inusitata violenza verbale e visionaria. La sua vita, contrassegnata dall’indigenza e dall’emarginazione, fu quella di un disperato (Le Désespéré si intitola il suo primo romanzo, pubblicato nel 1887) trafitto da una fede lacerante, la quale voleva dire per lui prova continua e dolore, solitudine, eccesso, scandalo e mai pacificazione. Basti pensare alla sua relazione – criticata e disprezzata dai più – con Anne-Marie Roulé, una prostituta che riuscirà a convertire e con cui vivrà per diversi anni nella più atroce miseria, fino al ricovero in manicomio di lei, ormai sconvolta da esaltazione mistica. 

Ossessionato dai paradossi del peccato e della santità, che sovente nelle loro manifestazioni più radicali sembrano confondersi allo sguardo fallace degli uomini (come accade talvolta nelle opere di un altro grande scrittore, Georges Bernanos), Bloy non smise mai di intraprendere una  lotta all’ultimo sangue con le tenebre, simile ad un titano solitario alle prese con un mondo devastato e devastante. Apostolo della povertà («Maledizione a chi non ha mai mendicato!», scrisse) e del dolore da accettare come espiazione e maturazione spirituale, non risparmiò insulti, aggressioni verbali verso i potenti del suo tempo, i giornalisti alla moda, i romanzieri di successo. A proposito della sua opera, Borges scrisse che «forgiò uno stile inconfondibile che, secondo il nostro stato d’animo, può essere insopportabile o splendido». E ancora: «Negò lo spazio cosmico; affermò che i suoi abissi e luminarie non sono altro che una proiezione della coscienza umana. Opinò qualche volta che siamo già all’inferno, e che ogni persona è un demonio incaricato di torturare il suo compagno». Quest’ultima concezione dell’esistenza è certamente rinvenibile nelle sue Histoires désobligeantes (1894): una raccolta di racconti brevi in cui domina la presenza terribile del male che governa il mondo e il cuore degli uomini. Con il suo stupefacente linguaggio, che non risparmia espressioni di sarcastica ferocia nei confronti del conformismo e dell’ipocrisia borghese, della sua miserabile ottusità e della sua idiozia contagiosa, Bloy costruisce storie diaboliche (ed il riferimento qui va a Les Diaboliques di Barbey d’Aurevilly), in cui quasi sempre la dannazione trionfa, dietro la maschera del perbenismo oppure all’interno di inconsueti ed imprevedibili rapporti tra bene e male. 

E veniamo ai racconti. Tra i migliori vi è sicuramente Les captifs de Longjiumeau, in cui è narrata la storia di due coniugi benestanti che sembrano l’immagine della felicità, ma che da quindici anni non riescono a partire, nonostante abbiano la passione dei viaggi, perché ogni volta qualcosa impedisce il loro proposito, tanto che la coppia pare «vittima d’una oscura macchinazione del Nemico dell’uomo» e la loro abitazione accerchiata da «truppe invisibili, selezionate con cura per fronteggiarli, e contro le quali nessuna forza avrebbe potuto spuntarla».  L’epilogo sarà tragico.

In Une idée médiocre assistiamo all’assurdo giuramento tra quattro uomini di vivere sempre insieme e di non lasciarsi mai e che avrà come testimone il Demonio: «Un solo animo e un solo intelletto suddivisi in quattro corpi in definitiva significava rinunciare alla propria personalità, diventar numero, quantità, ammasso, frazione d’un essere collettivo». E ancora: «La brava gente s’inteneriva vedendo passare quel malinconico quartetto, quegli schiavi della Sciocchezza, che camminavano con lo stesso passo, con delle facce da funerale, vestiti tutti uguali». L’irreparabile, naturalmente, non tarderà a manifestarsi. 

In altri racconti vi sono non solo omicidi premeditati, vendette atroci, professioni criminali mascherate da un’etica pubblica, ma anche paradossi in bilico tra peccato e redenzione come in Tout ce que tu voudras!, nel quale la prostituzione sfiora l’incesto in un clima allucinato ed ambiguo tra morte e rinascita («Il Peccato è la porta del cielo», scrisse in una pagina del suo diario). 

E a proposito del pensiero di Bloy, occorre aggiungere che fu assillato dal problema dell’identità e della nostra incompiutezza causata dalla Caduta, che ci ha fatto precipitare nel Caos, come testimoniano queste sue parole: «Non c’è sulla terra essere umano capace di dichiarare chi egli sia. Nessuno sa che cosa è venuto a fare in questo mondo, di che cosa fan parte i suoi atti, i suoi sentimenti, le sue idee, né qual è il suo nome vero, il suo imperituro Nome nel registro della Luce». Apprezzato da Kafka (nei Diari di quest’ultimo leggiamo «Bloy ha un fuoco che rammenta l’ardore dei profeti. Ma che dico! Bloy impreca molto meglio. E si spiega, perché il suo fuoco è alimentato da tutto il letame dell’epoca moderna»), Léon Bloy – autore di saggi e di due romanzi sconvolgenti, il già citato Le Désespéré e La Femme pauvre (1897) – è stato certo uno scrittore anomalo, sempre contro il proprio tempo, incapace di mediazioni e compromessi, nemico acerrimo di un cattolicesimo accomodante. Secondo Quinzio, egli  vedeva «la decomposizione della cristianità e […] l’unico rimedio, l’ unica salvezza alla quale pensava era l’evento escatologico, invano atteso da due millenni». Per la sua intransigenza non risparmiò duri colpi contro il clero e le alte gerarchie ecclesiastiche troppo compromesse con la società. Nella sua opera troviamo soprattutto la sofferenza della carne, l’attesa straziante di una liberazione assoluta e l’aspirazione alla santità.

Mauro Germani





lunedì 8 gennaio 2018

Guy de Maupassant - Racconti fantastici


Davvero interessante e per molti aspetti sorprendente la lettura dei Racconti fantastici di Guy de Maupassant, che colpiscono non solo per la limpidezza della scrittura, ma anche per l'originalità e la profondità dei temi trattati. E occorre aggiungere che mai come per questi racconti il termine fantastico riveli tutta la sua ambiguità e finisca in fondo per essere riduttivo.
Qui il  cosiddetto fantastico non è tanto il soprannaturale che si manifesta in modo esplicito e terrificante nella vita dell'uomo, ma è ciò che nasce dalla dimensione oscura dell'esistenza umana, dall'angoscia che divora l'anima e la carne, dall'ignoto che ci abita, dalla follia dei nostri pensieri e dei nostri sentimenti. Tutto ciò che di straordinario e di inquietante c'è nel fantastico di Maupassant sembra in realtà essere più dentro che fuori di noi, in balia della nostra solitudine, della nostra fragilità e dei nostri limiti.
Le vicende narrate hanno come protagonisti personaggi che sprofondano nel loro abisso o avvertono la presenza di un'altra realtà invisibile che li assale e che non si sa mai se davvero esistente o frutto della loro psiche tormentata o malata. Maupassant non rivela, non spiega, ma descrive situazioni che sono sempre al limite, che toccano quel punto estremo, quel margine oscuro e labile oltre il quale non ci sono più certezze e tutto si confonde, cancellando le differenze tra normalità e follia, tra realtà e immaginazione.
Qui l'uomo è smarrito, il suo sapere è nulla, la sua identità violata, il suo destino governato da leggi imperscrutabili. Maupassant affronta i temi del Doppio, dell'Invisibile, dell'Altro con un'impronta prima di tutto esistenziale, tanto che si potrebbe affermare che la dimensione fantastica si configura come conseguenza dell'esistenza, un'esistenza che solo illusoriamente è salda e sicura perché contaminata dall'ignoto e dal buio in essa presenti ab origine.
Tra i racconti più significativi legati al tema della solitudine e della follia possiamo citare Lui?, in cui il protagonista è ossessionato dal pensiero di una presenza estranea in casa sua: "E' dietro le porte, nell'armadio chiuso, sotto il letto, in tutti gli angoli scuri, in tutte le ombre. Se apro la porta, se spalanco l'armadio, se guardo col lume sotto il letto, se rischiaro gli angoli, non c'è più: ma allora me lo sento alle spalle. Mi volto, e pur essendo certo che non lo vedrò, che non lo vedrò più, nondimeno egli è sempre dietro di me".
Ma il racconto più esemplare è indubbiamente Le Horla, diario di una follia progressiva che annienta la volontà: "Sono perduto! Qualcuno possiede la mia anima e la governa! Qualcuno ordina tutti i miei atti, tutti i miei movimenti, tutti i miei pensieri! Non sono più nulla in me stesso, sono nient'altro che lo spettatore schiavo e terrorizzato di tutte le azioni che compio".
Particolarmente riusciti, tra gli altri, anche i racconti Garcon, un bock!, nel quale si scopre "l'altro lato delle cose, quello cattivo" e la vita appare come un gigantesco inganno; e La nuit, dove il buio ha il sopravvento su tutto, annullando ogni dimensione spazio-temporale.
Racconti da leggere e rileggere non solo per ammirarne lo stile impeccabile, ma anche per riflettere sugli abissi oscuri della condizione umana, come succede al protagonista di Solitude: "Da quando mi sono accorto della solitudine del mio essere mi pare d'inoltrarmi, ogni giorno di più, in un oscuro sotterraneo di cui non riesco a tastare i confini, di cui non conosco la fine e che forse non ne ha! Ci vado da solo, senza nessuno intorno, senz'anima viva che faccia con me questa strada tenebrosa. E' il sotterraneo della vita".
Mauro Germani