martedì 29 agosto 2017

Albert Caraco - Supplemento alla Psychopathia sexualis



Albert Caraco, Supplemento alla Psychopathia sexualis, ES, 2005

Questo inusuale libro di Albert Caraco, l’autore  estremo di Post mortem (Adelphi, 1984) e di Breviario del caos (Adelphi, 1998), è un catalogo di 211 casi di deviazioni sessuali, che vengono presentate parodiando il famoso trattato di Krafft-Ebing Psychopathia sexualis. Caraco, che non ebbe una vita sessuale e che pose fine alla propria esistenza nel 1971, si diverte qui ad inventare perversioni di ogni tipo, classificate in 44 capitoletti racchiusi da due scritti: la Premessa ed il Colloquio dei tre professori, che in modo ironico e feroce imitano le considerazioni scientifiche di esperti illustri. 
Nulla viene risparmiato da Caraco attraverso l’elenco delle perversioni, che in realtà sottendono la tragedia dell’esistenza: quest’ultima, infatti, non può essere salvata da nessuna epoca storica e da nessuna ideologia. E’ interessante notare come ogni perversione sia giustificata, o meglio mascherata, dal ragionamento di chi la pratica, come a dire che ogni periodo storico ha avuto le proprie manie ed ossessioni, che risultano ancor più drammatiche e ridicole nel momento stesso in cui si vogliono legittimare con un pensiero inautentico. 
In Caraco, l’uomo ed il mondo generano orrore, un orrore che qui assume la forma della parodia provocatoria, che mette alla berlina non solo la supponenza scientifica, ma anche la filosofia, la teologia e la cultura in genere. Inventare un trattato di psicopatologia sessuale deve essere stato per Caraco un atto liberatorio, che gli ha consentito di applicare la propria fantasia alla sessualità, cioè a quanto di più intimo e taciuto vi è per gli esseri umani. 
Le pulsioni più bizzarre sono esposte e classificate in modo da risultare comiche e tragiche ad un tempo, così come è in fondo il destino dell’uomo se lo si osserva con un certo distacco. E questa distanza dall’umanità è bene espressa da Caraco in Breviario del caos, quando scrive: “Io mi sento lontano dagli uomini e dalle donne, la loro unione mi sembra piuttosto ridicola e preferisco la solitudine al matrimonio e il nulla alla paternità”. E più avanti afferma: “Beati i morti! E tre volte miseri coloro che, in preda alla follia, generano! Beati i casti! Beati gli sterili! Beati anche coloro che preferisco la lussuria alla fecondità!”. Al male della procreazione, sono allora preferibili le deviazioni sessuali, pur nelle loro grottesche esibizioni, perché almeno non condannano all’esistenza e si limitano a patirla nella loro solitudine. 
Le perversioni raccolte in questo volume appaiono tutte assurde, eppure possibili, in quanto possibilità dell’esistenza stessa: qui assurdità e possibilità s’incontrano e ci parlano del vero e della sua  beffarda crudeltà, aldilà delle teorie (queste sì il più delle volte esclusivamente ridicole) che possono venire elaborate. Così, in questo singolarissimo libro, Caraco ci parla indirettamente ed  in continuità con altre sue opere, tra orrore e parodia, della nostra esistenza e della follia che è dentro di noi.
Mauro Germani



lunedì 21 agosto 2017

LA CITAZIONE (n. 2) - Edmond Jabès



“La scrittura non è mai una vittoria sul nulla, malgrado quello che se ne dice, ma al contrario un’esplorazione del nulla attraverso il vocabolo.”

“Il rischio è di aprire infinitamente il libro al libro. Questa apertura è anche il vortice, l’abisso: è in questa apertura che sta lo scrittore. [...] Dove il rischio è assente, non può esserci scrittura.”

“In ogni libro c’è una zona di oscurità, uno spessore d’ombra che non si sa valutare e che il lettore scopre a poco a poco. Ne è irritato, ma sente chiaramente che in questo sta il libro reale…”

“C’è un’esplorazione reiterata, spinta verso un altrove inesplorato, un fondo, un’origine ipotetici verso cui tende ogni scrittura. [...] Scrivere non è tenare di colmare il nulla e averne dunque una percezione acuta?”

“Il libro è sempre l’aldilà della parola, il luogo dove essa muore.”


“Esprimersi non è possibile se non attraverso la morte. La morte è lo spazio bianco che separa i vocaboli e li rende intellegibili. [...] Per lo scrittore, ogni parola scritta nasconde un’altra parola del tutto inafferrabile ma incessantemente differita e infinitamente più essenziale. […] Verso questa parola egli tende.”