martedì 3 marzo 2015

Cesare Viviani - Non date le parole ai porci



Cesare Viviani, Non date le parole ai porci. Prove di libertà di pensiero su cose della mente e cose del mondo, il melangolo, Genova, 2014

Al centro di questo prezioso libro di pensieri e aforismi di Cesare Viviani vi è la consapevolezza dell’indecifrabilità dell’esistenza e del limite che la contraddistingue e che anzi ne costituisce proprio l’essenza, la sua intima realtà. Si tratta di qualcosa di indicibile e di segreto, di cui la parola stessa è portatrice, un vuoto incolmabile che deve essere accolto nella scrittura come nell’esistenza perché “il vuoto sta alla vita come l’aria, l’ossigeno: senza il vuoto non c’è vita”. Viviani rifiuta decisamente il delirio d’onnipotenza che sembra caratterizzare il nostro tempo, in cui l’uomo si comporta come “un mortale che vive da immortale”, sempre tendente a colmare ogni mancanza ed ogni assenza perché entrambe rimandano “al vuoto fondamentale in cui è sospesa la vita”. Riconoscere il limite assoluto che è in noi non sminuisce il nostro stare al mondo, al contrario  garantisce un’attenzione nuova e diversa, una coscienza condivisa ed umile, priva di illusioni ma anche di aggressività. Perché cercare di spiegare l’inspiegabile, annullare l’esperienza della mancanza, volere a tutti i costi risolvere l’irrisolto, ridurre Dio o l’impensabile a formule o concetti o proprie rappresentazioni?
I “porci” a cui fa riferimento il titolo sono coloro che non hanno rispetto per la parola e la trasformano in grugnito, usandola solo come strumento per l’affermazione di sé; sono coloro che “non sopportano il minimo vuoto”, che “mostrano i loro possedimenti” di cui si vantano e che non meritano alcuna replica, ma solo il silenzio, “lo sguardo abbassato come davanti a una brutta cosa”.
Ma attenzione: il “porco” per eccellenza è chi ha costruito una scissione dentro di sé, formando così due soggetti: quello del malfattore e quello dell’uomo altruista e generoso, simpatico, che si è fatto tutto da sé e sa usare parole convincenti per conquistare la fiducia degli altri. Egli è colui che non rispetta la parola e chi non rispetta la parola non rispetta niente e nessuno.
Viviani ammonisce contro la “voracità umana”, contro l’eccesso e lo spreco che dominano la nostra società e che hanno preso il posto dell’attenzione, della dedizione e della cura necessarie per vivere in una dimensione più equilibrata, senza l’illusione dell’onnipotenza e il senso di una insoddisfazione perenne. C’è l’amara consapevolezza del “predominio del mercato e della monetizzazione di tutto”, del modello-macchina divenuto il riferimento per i rapporti umani ridotti spesso a prestazioni professionali, della morte dei veri sentimenti a causa dell’“azione fisica, ancora non scoperta, non individuata, della telecomunicazione e dell’elettronica sullo psichico, sugli affetti”, della generale e paradossale diminuzione della capacità di ascolto in un’epoca che invece viene presentata come il trionfo della comunicazione stessa. Considerazioni che fanno emergere la necessità di un cambiamento radicale, che abbandoni quell’onnipotenza del fare che riduce tutto ad obiettivi da raggiungere e dimentica i valori fondamentali.
Degne di nota sono, poi, le riflessioni sulla poesia e sulla scrittura. Cesare Viviani ribadisce l’indefinibilità della poesia, la quale conduce “fino al limite del comprensibile, del definibile, del dicibile” ed ha per questo come fondamento il nulla. La lettura di un testo poetico è dunque vertigine, in quanto chi legge è disarmato, senza potere, di fronte al doppio limite della parola poetica e di sé medesimo. Ecco allora l’importanza della discontinuità dell’arte in generale, ed in particolare della frattura nella poesia dei significati abituali, di un ascolto davvero altro che porta alla scomparsa dell’io e ad un’esperienza nuova del pensiero. E a proposito del critico che si occupa di poesia, Viviani afferma che deve fare i conti con l’indefinibile, non con il definito, e sapere che le sue conoscenze non sono sufficienti perché ogni testo poetico si spalanca sul vuoto.
Mauro Germani
(articolo pubblicato su QuiLibri - novembre/dicembre 2014)