martedì 31 gennaio 2012

Woody Allen - Midnight in Paris

CINEMA E PENSIERO
a cura di
ANGELO CONFORTI



Midnight in Paris (2011) e l’antropologia fantastica di Woody Allen

“Il titolo di questo libro giustificherebbe l'inclusione del principe Amleto, del punto, della linea, della superficie, dell'ipercubo, di tutte le parole generiche e, forse, di ciascuno di noi e della divinità. Insomma, quasi dell'universo”. Così Jorge Luis Borges introduce il suo Il libro degli esseri immaginari (1967), in cui tuttavia decide di attenersi al significato più immediato e restrittivo del termine “esseri immaginari”, compilando un “manuale di zoologia fantastica”, un catalogo di tutti quegli strani enti che la fantasia degli uomini ha generato nel corso del tempo e nei più diversi luoghi, simboli archetipi dell’inconscio collettivo, specchi dei più diversi aspetti della psiche umana, che nella natura animale affonda le proprie radici.
Anche il cinema, che, come la letteratura, è un doppio dell'universo, è un grande “libro” degli esseri immaginari. Alcuni film di Woody Allen, proprio come il prezioso volumetto di Borges, si prestano ad essere compresi in una speciale categoria, quasi volessero rappresentare una sorta di manuale di antropologia fantastica.
Tra tutte le varie componenti del cinema di Allen, comunemente considerato quasi soltanto un genio della commedia, non si può certo dimenticare la dimensione profondamente filosofica, che lo attraversa da cima a fondo e che lo spinge a cimentarsi con diversi generi narrativi esplorando a fondo anche la strada di quello che si può definire “realismo magico”. In tal modo ha creato una galleria di personaggi che, come accade agli animali fantastici del bestiario di Borges, rappresentano, nella forma ironica e di raffinata comicità che Allen non abbandona quasi mai, veri e propri archetipi della personalità umana, della sua complessità e varietà di manifestazioni.
Uno degli esempi più eccelsi, un vertice quasi assoluto di questo catalogo di umanità immaginaria lo si può trovare nel “camaleonte umano” Leonard Zelig (Zelig, 1983), l’incredibile individuo che assume personalità diverse ogni volta che deve adattarsi ad un nuovo ambiente.
Un altro esempio folgorante è costituito da La rosa purpurea del Cairo (1985), che è anche il titolo del film che la protagonista Cecilia vede e rivede ogni giorno, per sfuggire alla difficile quotidianità della depressione americana anni ’30. La sua assiduità e la sua immedesimazione nell’avventurosa e romantica storia di finzione ha il potere di far uscire dallo schermo il fascinoso protagonista per vivere con lui una breve storia d’amore.
A questa antropologia immaginaria appartiene di certo anche lo sceneggiatore e aspirante scrittore americano Gil (Owen Wilson), il protagonista dell’ultimo capolavoro di Allen, Midnight in Paris (2011): ha idealizzato la Parigi degli anni ’20 del Novecento e gli càpita di salire su una sorta di macchina del tempo e di trovarsi ad ascoltare dal vivo Cole Porter al piano e di conversare con Scott Fitzgerald e sua moglie Zelda, con Ernest Hemingway, Pablo Picasso, Salvador Dalì, Luis Buñuel, Gertrude Stein e altri.
Gli succede anche di innamorarsi di Adriana (Marion Cotillard), una delle amanti di Picasso, e di rompere il fidanzamento con la sua futura moglie. Ma Adriana, a sua volta, vive del mito della belle époque e, quando entrambi vengono trasportati su una carrozza del tempo fino al celebre Chez Maxim del passato, dove incontrano Toulouse-Lautrec, Adriana decide di rimanere, mentre Gil torna al presente e inizia a frequentare una ragazza conosciuta nel Quartiere Latino che, come lui, ama le canzoni di Cole Porter.
È curioso che ancora si possa trovare in questo film, pieno di humour, di romanticismo, di nostalgia e di magia, ancora un parallelismo con Borges che, nell’appendice de Il libro degli esseri immaginari, racconta dei “Laudatores temporis acti”, la setta degli adoratori del passato, descritti nel Seicento dal portoghese Luiz da Silveira.
Adriana e Gil appartengono sicuramente a questa categoria umana, anche se con sfumature diverse.
Proprio grazie a questi esseri immaginari, che divengono simboli di componenti molto concrete e realistiche della psiche umana, riusciamo a comprendere meglio noi stessi, le nostre caratteristiche più profonde ed inconsce.
Angelo Conforti

martedì 17 gennaio 2012

Nota critica di Rosa Pierno su "Terra estrema"


In occasione della lettura a Verona dei Poeti Finalisti della XXV Edizione del Premio Lorenzo Montano 2011

Una frequentazione della filosofia che divenga combustile nella fornace della poesia è esperienza usuale, ove però di volta in volta, per singolo caso, è importante verificare il lavoro sulla parola e sulla sintassi e in ultima analisi il portato di tale investigazione. Ci pare che il lavoro di Mauro Germani, testimoniato dalla sua silloge “ Terra Estrema”, effettuando un prelievo terminologico dal contesto filosofico innanzitutto semplifichi al massimo la presenza del tessuto sintattico, quasi giungendo a un dettato elementare: “E’ questo solo / lo scandalo della carne, / l’enigma di ogni nome, / il pianto segreto / delle mie parole..”. In tale semplificazione, giocoforza acquistano maggior rilievo i termini presenti, monadi indeclinabili e non relazionabili, sui quali Germani sceglie di non attuare nemmeno una teatralizzazione dialettica. ”Non sappiamo il corpo / l’assoluta verità del sangue”: scissi i legami tra parole, esse paiono rilucere in un vuoto simulacro. In fondo, esse sono state private anche del loro bagaglio storico. Sembra che siano vicinissime a perdere ogni senso: “E non c’è più / non è più qui / il corpo ignoto / del mondo”. Che tale svuotamento sia progetto strenuamente perseguito ci viene dichiarato da Germani stesso: “Il passo che non ha sentiero /e scende nel cuore dell’ombra / solo / lungo il crinale del tempo. / Dov’è mai adesso? / Dove mai non c’è?”. L’auspicata presentificazione dell’essere forse non avverrà, non è che una speranza o una proiezione, e allora sarà “qualcosa come un respiro, /  il nome perduto del mondo”. Di tutta evidenza che l’essere non appartiene che al regno delle parole per Germani: “E quanti anni nel corpo / quante domande /per dire noi /per dire senza”. Ma è appunto solo nella scrittura che si può tentare: “Scrivere sempre / il già / cancellato”.