martedì 27 dicembre 2011

Roman Polanski - Carnage

CINEMA E PENSIERO
a cura di
ANGELO CONFORTI


Roman Polanski: Carnage (2011) e lo spettacolo del nichilismo

Sono passati quasi 50 anni da quando nell’agosto del 1962 fu presentato a Venezia il primo lungometraggio di Roman Polański (Parigi, 18 agosto 1933), Il coltello nell’acqua (Nóż w wodzie), che fece una grande impressione e ricevette numerosi riconoscimenti di critica e pubblico. Il film, girato quasi interamente su una barca con tre soli personaggi principali, già anticipava molti dei temi e delle soluzioni narrative, drammaturgiche e stilistiche care al grande regista polacco, naturalizzato francese.
Ora dopo poco meno di mezzo secolo, all’apice di una carriera che si prospetta ancora piena di interessanti sorprese, con Carnage (2011) Polański ritrova una delle sue predilette situazioni claustrofobiche e firma un altro dei suoi tanti capolavori, dedicati allo smascheramento spietato dell’ipocrisia, della falsa coscienza, del formale perbenismo che caratterizza l’umanità occidentale e che, forse, mina fin nel profondo l’autenticità ontologica, relazionale ed esistenziale dell’essere umano in quanto tale.
Questa volta i protagonisti sono quattro, due coppie sposate, in un appartamento di Brooklyn, al cui interno si snoda l’intera vicenda in tempo reale, a parte un breve antefatto e una rapida conclusione, entrambi in esterni, ai giardini pubblici del quartiere. I quattro straordinari interpreti, Jodie Foster, Kate Winslet, John C. Reilly e Christoph Waltz, diretti magistralmente da Polański, danno vita a un gioco delle parti che si trasforma presto in un gioco al massacro (“carnage”, appunto; Il dio del massacro si intitola la pièce originale di Yasmina Reza, che ha collaborato alla riduzione cinematografica).
Incontratesi per trovare un accordo amichevole (il figlio dei Cowan – Waltz e Winslet – ha rotto due denti al figlio dei Longstreet – Reilly e Foster – colpendolo con un bastone, durante una lite ai giardinetti), le due coppie ben presto gettano la maschera e fanno emergere tutte le loro frustrazioni e la loro repressa carica aggressiva, in un continuo ribaltamento delle situazioni, che oppongono coppia a coppia, mariti a mogli, moglie a moglie, marito a marito e, infine, moglie e marito all’interno di ogni coppia.
Dialoghi, sceneggiatura e regia sono calibrati in modo perfetto e il continuo mutamento di prospettiva, con la funzionale dislocazione delle posizioni di ripresa, le panoramiche e le carrellate, e con il gioco degli specchi grazie al quale l’immagine stessa viene raddoppiata e moltiplicata, rende questa tragica commedia (o comica tragedia) da camera un capolavoro di tensione narrativa, di crescendo drammaturgico, di graffiante e beffarda ironia.
Polański è tornato ad ambientare una vicenda in un appartamento di New York, come aveva fatto nel suo primo film di americano immenso successo mondiale, Rosemary’s baby (1968), e, come allora, senza mai aver smesso di farlo, ha voluto raccontare il nichilismo occidentale, situandolo proprio nel centro simbolico dell’Occidente civilizzato (la Grande Mela), per farne emergere, dietro il velo dei presunti valori progressisti, le più brutali pulsioni inconsce. Ma se all’epoca, tra le due coppie protagoniste, una era succube dell’altra e la sventurata Rosemary invano tentava di opporsi al diabolico disegno di trasformarla nella madre del figlio di Satana, in Carnage tutti i protagonisti hanno da tempo venduto l’anima al diavolo (non solo l’avvocato Waltz, al soldo di una casa farmaceutica che fa profitti sulla salute dei clienti) e anche le due donne sarebbero forse disposte a concepire il figlio del demonio.
L’Occidente di Polański è ormai definitivamente preda delle proprie pulsioni autodistruttive. Ma il grande regista franco-polacco punta più in alto. Il suo film vuole rappresentare lo spettacolo di un nichilismo ontologico dell’essere umano, strutturalmente vittima di una volontà di potenza che lo sovrasta e che inutilmente cerca di nascondere dietro la facciata di illusorie buone maniere. Nella breve inquadratura finale i ragazzi tornano a giocare ai giardini pubblici e il criceto, cacciato di casa e abbandonato dal signor Longstreet, assapora la propria libertà, mentre i quattro “pacifici” adulti hanno raggiunto l’apice della loro inautenticità esistenziale e della loro nullità umana.

Angelo Conforti